SAN  NICOLO’  DI  BARI

 

CENNI  BIOGRAFICI

 

III secolo dopo Cristo nella Licia – Asia Minore.

 

 Nella città di Mira, vicino Pàtara, sede vescovile con a capo il venerando Arcivescovo Nicolò, vivono due coniugi suoi parenti Epifanio e Giovanna, ricchi nobili e stimati, per loro bontà hanno un solo cruccio nonostante le insistenti preghiere non hanno avuto figli, ma ormai avanzati negli anni, hanno perso ogni speranza.

Ma il Signore non si è dimenticato di loro, come Elisabetta e Zaccaria, trecento anni prima, nella vecchiaia hanno avuto l’atteso figlio, un prodigio a cui  diedero lo stesso nome dello zio Arcivescovo, Nicolò.

Pochi giorni dopo la nascita fu battezzato per immersione come si usa in Oriente e la tradizione narra che stette ritto sulle sue gambe per tutto il rito e rispose personalmente alle domande del sacerdote tra lo stupore di tutti i presenti.

Successivamente il piccolo Nicolò continuò a stupire i cittadini di Pàtara. Infatti con grande avidità poppava latte dalla nutrice tranne che nei giorni di mercoledì e venerdì quando se ne asteneva completamente e nella quaresima limitava le poppate ad una solo giornaliera verso il tramonto.

Da fanciullo era ben portato per gli studi e i genitori ne volevano fare un mercante o “una carica pubblica”. Ma un giorno Nicolò disse ingenuamente alla madre che voleva fare il vescovo come lo zio di Mira. Così venne avviato agli studi sacerdotali sotto la direzione dello zio. E subito si distinse. All’epoca ci fu una terribile pestilenza nell’Asia Minore e morirono numerose persone e tra questi Epifanio e Giovanna lasciandolo orfano ma molto ricco. Rimasto padrone di tanta ricchezza, ritenendola impedimento ai suoi ideali, vendette tutto e il ricavato lo distribuì ai poveri.

 

IL  PAGANO  ORGOGLIOSO

La pestilenza scombussolò la società dell’epoca, in Pàtara un pagano ricco e orgoglioso si trovò nella miseria più nera, aveva tre figlie a cui non poteva fare la dote e senza dote non potevano maritarsi. L’orgoglio non lo faceva abbassare a chiedere aiuto ad altri e pensò di far prostituire le proprie figlie per ottenere i soldi per la dote.

Per lui, infatti, l’orgoglio valeva più del disonore.

Nicolò lo seppe e per salvare l’onore alle tre ragazze senza ferire l’insano orgoglio del padre, prese una borsa e la riempì di denaro per quanto poteva bastare per la dote di una ragazza e ci mise dentro un biglietto dove scrisse: “Al padre di famiglia per la dote della figliola maggiore” . Nella notte lanciò la borsa nella casa dell’insano padre e scappò. L’uomo prese la borsa e rimase meravigliato e fece sposare la figlia ad un buon partito.

Nicolò incoraggiato dalla buona riuscita del suo stratagemma lo ripeté per la seconda figlia ed anch’essa venne maritata onorevolmente. Il padre voleva conoscere il suo benefattore e pensò che il dono si sarebbe ripetuto per la terza figlia e si nascose in attesa. Nicolò tornò e lanciò la terza borsa col denaro ma questa volta l’uomo la fermò e si accorse che si trattava di Nicolò ed il pagano rimase sconvolto, lo abbracciò commosso e capì che solo la religione cristiana poteva essere capace di simile generosità e si convertì assieme alle sue figliole.

 

L’ABATE DI SION 

Dopo aver devoluto i suoi averi ai poveri Nicolò si trasferì a Mira per riprendere i suoi studi presso il monastero di Sion ove le sue magnificenze lo avevano preceduto. Quando arrivò lo zio abbracciò Nicolò soddisfatto e volle metterlo a capo del monastero. Il giovane tentò di rifiutare ma lo zio rimase fermo nei suoi propositi e Nicolò ubbidiente accettò a malincuore.

 

L’ACQUA  DALLA  ROCCIA

Il monastero sorgeva in una zona piuttosto arida ed i monaci d’estate soffrivano di penuria d’acqua. Il nuovo Abate, accortosi dalla necessità, dopo aver nervosamente pregato, si avvicinò ad una roccia la percorse col suo bastone e subito zampillò acqua abbondante e fresca ove i monaci potevano attingere. Questo fece accrescere l’ammirazione e le venerazioni per lui che fin d’allora venne considerato Santo.

Nicolò voleva visitare la terra Santa e l’ufficio di Abate a lui imposto per ubbidienza allo zio glielo impediva. Lo zio si ammalò e poi morì. Nicolò, dopo aver adempiuto ai doveri verso la salma dello zio, rinunciò all’abbazia con grande rammarico per i monaci. Libero da impegno cominciò a preparare il suo viaggio in Terra Santa. Intanto il Clero ed il popolo cercavano di dare un successore al defunto Arcivescovo di Mira e tutti pensarono a Nicolò. Si radunarono i vescovi di tutta la Licia ma non riuscirono a trovare Nicolò e, quindi, fu eletto il Sacerdote Giovanni. Nicolò, infatti, appena saputo che volevano eleggerlo Arcivescovo scappò in un luogo ignoto a tutti. Dopo un pò di tempo scese verso il mare ad aspettare una nave per l’Oriente.

 

TEMPESTA

Un bellissimo giorno, Nicolò, salì su una nave e predisse al capitano che ci sarebbe stata una terribile tempesta e questi da esperto si mise a ridere.

Ma passati due giorni di navigazione una furiosa tempesta stava facendo affondare la nave e mentre tutti erano terrorizzati, Nicolò, tranquillo, salì sulla tolda e gridò al mare “In nome di Gesù Nazareno calmati!”. Il capitano incredulo si mise a  ridere ma il mare immediatamente si calmò e divenne liscio come l’olio.

Tutti si buttarono ai piedi di Nicolò anche il capitano e a tutti disse che il prodigio non era dovuto a lui ma a Gesù Nazareno.

 

ANACORETA  E  PELLEGRINO

Sbarcato in Egitto, Nicolò andò a visitare la tomba di S. Marco Evangelista in Alessandria poi fu ospite per molto tempo del celebre anacoreta S. Antonio col quale si esercitò nel lavoro, nella penitenza e nella contemplazione. Da Antonio venne a sapere che era stato eletto Arcivescovo di Mira Giovanni.

Dopo essersi ben preparato lasciò Antonio e si avviò verso la Palestina. Visitò Nazaret, Betlem e Gerusalemme.

Nel Cenacolo una voce misteriosa lo avvertì che Dio voleva che tornasse in Patria. Una notte ebbe una visione gli apparvero Gesù e Maria. Gesù gli diede il libro del Santo Vangelo, Maria gli impose sulle spalle il pallio episcopale. Ubbidiente Nicolò lasciò la Palestina e con una nave tornò nella Licia. Quando arrivò a Mira la città era in movimento era morto l’Arcivescovo Giovanni ed i vescovi erano radunati per l’elezione del successore. Ma dopo parecchie preghiere e molti giorni non era stato raggiunto un accordo e tutti pensavano a Nicolò come successore ma lui era scomparso. Visto il mancato accordo tra i vescovi uno di loro propose: “Eleggiamo colui che domattina entrerà primo in questa chiesa e porterà il nome Nicola; chissà che la protezione dello scomparso non ci darà l’uomo di Dio che andiamo cercando?” Tutti furono d’accordo, stranamente non si erano accordati su un nominativo tra le persone che conoscevano ma erano tutti unanimi sulla scelta di un ignoto. L’adunanza si sciolse e solo alcuni vescovi rimasero in chiesa per tutta la notte ad aspettare al mattino il primo Nicola che sarebbe entrato.

Nicola intanto giungeva a Mira senza sapere nulla e senza immaginare la sorte che lo attendeva. Giunto nella notte, attese il mattino per andare in chiesa a ringraziare Dio per i favori avuti nel suo pellegrinaggio. All’alba si avviò verso la Chiesa e la trovò aperta, appena entrato due vescovi lo prendono per le spalle e gli domandano:

-   Chi sei?

-   Sono Nicolò, servo di Dio, - rispose

-   Deo Gratis: tu sarai il nuovo Arcivescovo di Mira

-   Ma non è Giovanni l’Arcivescovo? – disse Nicolò

-   Giovanni è morto – risposero - non lo sai? Com’è che, essendo a Mira ignori questo?

-   Ero lontano e sto arrivando adesso.

-   Ma dunque saresti tu l’Abate del Monastero di Sion, tanto ricordato da tutti, il nipote del grande Arcivescovo Nicola?

-   Sì, sono io.

-   Deo Gratis! Vieni con noi.

Più tardi tutti seppero del ritorno inaspettato di Nicolò e tutti felici consacrarono Nicolò Arcivescovo. Era questa la volontà di Dio.

Quel giorno nella chiesa di Mira vennero da tutte le parti cristiani e pagani con una grande ressa tra gli altri una donna che lasciò a casa il fuoco acceso ed un bambino di tre anni addormentato. Ma durante la sua assenza il bambino si svegliò e quando la donna tornò a casa vide il bambino carbonizzato. Stravolta prese il cadavere tra le braccia  corse alla chiesa dove c’era Nicolò si prostrò davanti a lui e gli fece vedere il piccolo ormai senza vita e disse: “Padre santo, aiutami”. Nicolò si commosse e pianse, poi alzò gli occhi al cielo e fece il segno della croce sulla fronte del bambino e disse: “In nome di Gesù, torna a tua Madre”. Immediatamente il corpicino si rianimò e sorridente il bambino si attaccò alla madre che lo baciava e piangeva.

 

TUTTI  A  TUTTO

L’episcopato di Nicolò iniziò con promettenti auspici ma il popolo era ridotto in miseria a causa delle lotte civili e delle continue guerre che Roma doveva sostenere per fronteggiare i barbari nelle province di frontiera. Nella sua Diocesi c’erano ancora troppi templi pagani e l’eresia serpeggiava tra i suoi fedeli. Ma lui ovunque passò eresse Chiese e trasformò  e consacrò al vero Dio templi pagani nominò vescovi, combatté l’eresie, liberò ossessi, guarì ciechi, sordi, muti e storpi.

Moltissimi furono i miracoli che il Signore operò per mezzo del suo servo.

 Il popolo soffriva la fame ed egli diede tutto quello che aveva per sfamarlo e quando non ebbe più nulla ricorse al miracolo.

Una nave, carica di frumento, stava partendo dalla Sicilia. La notte precedente alla partenza sulla nave apparve un Vescovo, si presenta al padrone del carico ed acquista tutta la merce, dà una forte caparra e s’impegna a pagare il resto appena effettuato lo sbarco della merce.

Si presenta al capitano della nave e gli dice di far vela per la Licia e di fermarsi ad Andriaco ove la nave giunse. I marinai rimasero stupiti quando videro che ad attenderli sul ponte c’era il Vescovo che era loro apparso in Sicilia, Nicolò senza badare al loro stupore pagò il carico e lo distribuì ai cittadini affamati.

Un’altra nave carica di grano era salpata dall’Italia verso Costantinopoli con l’ordine dell’Imperatore di non deviare la rotta né disperdere il carico. Una tempesta obbligò la nave a rifugiarsi ad Andriaco. Nicola si presenta al Capitano e lo prega di scaricare nel porto almeno una parte del carico ma i marinai si rifiutarono pensando alle pene che ne sarebbero derivate. Nicolò insistette sulla necessità di scaricare una parte del carico e al resto avrebbe pensato lui.

I marinai si impietosiscono e gli vendettero parte del carico e cercarono di inventarsi qualcosa  per spiegare l’ammanco una volta arrivati a Costantinopoli.

A Costantinopoli trovarono un severissimo controllo e si credettero perduti ma rimasero meravigliati quando si accorsero che non vi erano ammanchi nel carico consegnato agli ufficiali dell’Imperatore.

Il grano sbarcato ad Andriaco che poteva bastare per una città fu distribuito a tutte le Diocesi e fu sufficiente fino all’arrivo di un altro carico. Le navi approdavano prodigiosamente ad Andriaco anche se avevano un’altra meta, arrivavano ad Andriaco per riparare un guasto o perché avvisate misteriosamente in alto mare di portarsi in quel porto.

 

LA PERSECUZIONE

L’Imperatore Diocleziano mal consigliato decise di sterminare tutti i cristiani, il 23 Febbraio 303 pubblicò un editto con il quale scatenò la più feroce persecuzione che i cristiani avessero mai subito. Vescovi e sacerdoti venivano martirizzati. La persecuzione durò fino al 313 con l’Editto di Costantino fu restituita la pace ai cristiani.

Tutti i responsabili delle persecuzioni dei cristiani finirono male. Diocleziano e Massimiano Erculeo si ritirarono a vita privata stanchi e vinti dal fallimento.

Galerio fu colpito da una schifosa malattia e morì corroso dai vermi. Massimiano……….., tradito dai suoi soldati, si uccise con una spada. Severo fu ucciso dai suoi soldati.

Massenzio sul ponte Milvio vide sopra il sole una croce luminosa con la scritta “IN NOC SIGNO VINCES” IN QUESTO REGNO VINCERAI  e vinse la battaglia ed egli stesso si convertì al Cristianesimo.

Durante le persecuzioni anche la Diocesi di Mira pagò il suo tributo ma Nicolò venne risparmiato da Dio. Sia cristiani che pagani lo aiutarono a sottrarlo agli aguzzini. Egli però fu arrestato e non poté più predicare in pubblico e costruire chiese. Con l’Editto di Milano del 12 ottobre 313 gli augusti del tempo, Costantino e Licinio, avevano posto termine alle persecuzioni e diviso l’Impero, a Costantino era toccato l’Occidente e a Licinio l’Oriente. Licinio non tenne fede alla sua firma nell’Editto di Milano di proteggere le chiese ma anzi cercò di soffocarle. Diede incarichi amministrativi a funzionari pagani tra i più ostili al Cristianesimo e molti Cristiani furono vittime di innumerevoli soprusi. Molti si rivolgevano a Nicolò per avere aiuto e protezione. Nicolò sopportò finché poté con tanta pazienza ma un giorno dichiarò apertamente che si trattava di una nuova persecuzione come ai tempi di Diocleziano. La sua dichiarazione fu subito riferita a Licinio che gli fece sapere che gli spiaceva assai, significando che gliel’avrebbe fatta pagare. Nicolò per sottrarsi alle ire di Licinio si nascose.

 

I  MORTI  RISUSCITANO

Due giovani studenti della Licia dovevano entrare in Grecia e passarono prima da Mira per salutare il Santo Arcivescovo, essendo arrivati tardi si fermarono in un’osteria per passare la notte. L’albergatore, uomo senza scrupoli, per rubargli i denari li uccise, li seppellì e si impossessò del denaro contenuto nelle borse. Pensava di passarla liscia perché nessuno aveva visto nulla. Al mattino però Nicolò si presentò all’albergo a cercare i due giovani. L’albergatore cercava di persuaderlo che non era venuto nessuno nel suo albergo. Nicolò andò nel luogo ove erano stati seppelliti ragazzi e con voce impetuosa disse: “In nome di Dio, venite fuori!”, si aprì la terra e i due giovani vennero fuori e si prostrarono al santo.

Tutti seppero del miracolo operato da Nicolò anche i suoi nemici e l’albergatore fu arrestato.

 

ESILIO E CARCERAZIONE

Accusato di vilipendio e congiura verso Licinio, Nicolò fu condannato all’esilio nonostante il pianto e le proteste dei suoi concittadini. Allontanato fu anche incarcerato e sottoposto a maltrattamenti. Sopportò eroicamente le sevizie inflittegli per vari anni fino alla capitolazione di Licinio per opera di Costantino che appena assunto al potere fece liberare Nicolò dal carcere e questi stanco ed invecchiato tornò a Mira dove fu accolto gioiosamente e festeggiato.

 

GLI  DEI  SE  NE  VANNO

Costantino fece un Editto in cui sosteneva che la chiesa aveva la preminenza su tutte le altre  religioni e permetteva ai Vescovi di abbattere gli idoli. L’Arcivescovo Nicolò nonostante gli acciacchi passava da un paese all’altro per indurre i pagani a convertirsi e molti lo seguirono. Con l’aiuto dei convertiti distruggeva gli idoli e i loro templi. A Pàtara c’era un tempio di Apollo  dove affluivano genti da tutti i luoghi e che era fonte di guadagno per sacerdoti, albergatori, mercanti ecc…….. Questi erano preoccupati che Nicolò potesse rovinare la loro fonte di guadagno e misero in giro voci di terribili castighi per chi avesse distrutto il santuario.

Ciò nonostante Nicolò ne ordinò la demolizione ma tutti avevano paura e così Nicolò prese il piccone e cominciò ad abbatterlo, gli altri vedendo che gli annunziati castighi non si erano verificati completarono l’opera di abbattimento e sopra ci costruirono una Chiesa cristiana.

A Mira esisteva un vecchio cipresso consacrato alla dea Placomiton dove i pagani celebravano i loro riti. Anche qui i sacerdoti avevano detto che se l’albero fosse stato tagliato da esso si sarebbero sprigionate fiamme infernali. Nicolò senza preoccuparsi prese una scure e cominciò a tagliarlo, non uscì nessuna fiamma ma si sentirono dei gemiti che spaventarono i presenti. Una voce accusava Nicolò di non dargli pace, era la voce del Demonio che con quell’albero cercava di ingannare le anime. Nicolò convertì tutti i pagani della sua diocesi.

 

AL  CONCILIO DI  NICEA

In quell’epoca erano tanti i predicatori della nuova fede ma non tutti davano alle Sacre Scritture la giusta interpretazione. Fra costoro ci fu Ario un frate di Alessandria che negava che Cristo fosse figlio di Dio, una eresia fondamentale. Contro Ario si schierò il suo vescovo Alessandro ma Ario superbo persistette e trovò altri seguaci. La controversia degenerò e non solo tra gli intellettuali ma anche tra tutti i cristiani.

L’imperatore Costantino d’accordo  con il Papa Silvestro indisse un Concilio di Vescovi, Preti e personalità importanti del laicato cristiano per esaminare la controversia e dare norme sicure e certe ai Cristiani. La Riunione fu tenuta a Nicea che fu raggiunta da una folla di gente. Molti vescovi, preti, Diocesi da tutto il mondo Cristiano. Presente al concilio fu anche Ario che spalleggiato dai suoi compagni sostenne la sua tesi, tra l’indignazione dei presenti. Addirittura Nicolò non riuscendo a contenersi diede uno schiaffo ad Ario e dopo il tumulto susseguito Nicolò fu allontanato. Tornò nelle successive sedute soddisfatto di aver schiaffeggiato Ario. Alla fine il Concilio raggiunse il suo scopo, definì Cristo veramente figlio di Dio e condannò la dottrina di Ario come eretica e lo scomunicò.

 

CARNE  SALATA

Quando Nicolò era in viaggio per Nicea fu costretto da un temporale estivo a fermarsi in un piccolo albergo, chiese da mangiare e gli fu servita carne salata ben preparata. Prima di iniziare Nicolò benedisse la mensa ma subito si conturbò e chiamò l’albergatore e chiese altra carne e saputo che ce n’era ancora volle vederla e l’albergatore gli fece vedere il barile che conteneva la carne. Nicolò guardò e fremette di nuovo e disse “sciagurato! Che male ti hanno fatto queste innocenti creature da ridurle in questo stato? Non sai che un giorno dovrai render conto di questi delitti?.” Poi rivolto al barile con voce autorevole disse: In nome di Gesù Cristo, sorgete e tornate alla vita. I pezzi di carne salata si ricomposero e tre bambini saltarono fuori dal barile e si buttarono ai piedi del Santo. L’oste spaventato si gettò anche lui ai suoi piedi implorando il perdono, si convertì e chiese il battesimo. Quei tre fanciulli erano tre schiavi che l’oste aveva comprato, ingrassato e macellato come fossero maialini. Nicolò li riportò in vita, li istruì, li battezzò e li lasciò liberi.

 

VERSO  ROMA

Tornato da Nicea Nicolò continuò la sua missione contro il paganesimo e si mise in viaggio verso Roma, voleva visitare la tomba degli Apostoli e la sede dei Papi. A Nicea aveva conosciuto gli inviati del Papa, Vitone e Vincenzo e, nonostante l’età avanzata aveva deciso di mettersi in viaggio.

Si imbarcò con un Diacono e sbarcò a Bari, dove sostò per diverso tempo continuando la sua missione di portare Cristo alla gente.

Per andare a Roma comprò due asinelli, uno grigio e l’altro nero, e partirono fermandosi a Nola per riposare. Al mattino il Diacono va a prendere gli asinelli ma li trovò morti con la testa staccata. Chiamò l’oste per avere una spiegazione ma questi finse di non sapere nulla . Il Diacono avvertì l’Arcivescovo di quanto successo e che non potevano proseguire il viaggio. Nicolò ordinò al Diacono di ricucire le teste a quei corpi esanimi nella speranza che Dio mosso a pietà potesse ridare vita ai due asinelli. Il Diacono obbediente esegue l’ordine ricevuto tra le risa dell’oste. Quando finisce il lavoro si accorge smarrito di aver attaccato all’asino grigio la testa nera e viceversa all’altro asino tra le rinnovate risa dell’albergatore.

Comunque avvertì Nicolò dicendosi disposto a rifare l’operazione. L’Arcivescovo sorrise poi alzò gli occhi al cielo e benedisse le due bestie che subito si alzarono in piedi pronti a rimettersi in viaggio. L’oste rimase sbalordito, pensava di utilizzare la carne per la sua cucina invece gli asini erano tornati in vita l’uno con la testa dell’altro. I due pellegrini ripartirono. Si fermarono ancora a Capua e qui trovarono un tempio consacrato a Diana che come il cipresso di Mira  dava dei responsi, meravigliato maledisse l’idolo pagano che dal quel giorno non parlò più.

        Giunto a Roma si soffermò a lungo a pregare sulle tombe degli Apostoli felice di riprovare i sentimenti già provati in Terra Santa. Un giorno vide lungo le rive del Tevere una colonna in marmo pensò che fosse utile per la sua Chiesa di Mira e la sospinse in acqua dicendole “Ci vedremo ad Andriaco”.

Appagato dal desiderio di visitare Roma fece ritorno via mare in sede e ad Andriaco trovò la colonna che fece trasportare nella cattedrale di Mira ove fu collocata.

 

PRODEZZE DI EUSTACHIO E PRODIGI DI NICOLO’

Nella Frigia era scoppiata una sedizione e Costantino inviò dei Consoli con i più ampi poteri per vederla. Per raggiungere la Frigia occorreva passare per il porto  di Andriaco e la città di Mira che divenne porto di smistamento delle milizie. A Mira rimase in Console abilissimo, Eustachio, esperto in cose militari ma losco nell’amministrazione e senza scrupoli. Divenne un piccolo despota che non riuscì a piegare ai suoi voleri solo Nicolò e non potendo competere con lui si dimostrò sempre ossequioso e devoto.

Un giorno fece accusare di alto tradimento tre integerrimi cittadini che avevano la sola colpa di essere molto ricchi. Li fece arrestare immediatamente e condannare a morte da un giudice compiacente che stava per far eseguire la condanna. Lo seppe Nicolò mentre parlava con tre tribuni romani, cristiani integerrimi, ed ebbe una visione e una rivelazione. Gli averi dei tre cittadini condannati a morte sarebbero passati all’imperatore e prima al console Eustachio. Subito Nicolò ed i tre tribuni affrontarono il giudice scorretto ed Eustachio rinfacciandogli l’abuso. Nicolò disse:”Io li dichiaro innocenti e ne rispondo davanti a Dio e all’imperatore”, sciolse i lacci dei condannati e li mandò liberi tra le scuse del giudice e del Console.

Il Console però non era tranquillo e non si fidava della magnanimità e del perdono del Santo e dei tre tribuni che avrebbero potuto rivelare le sue malefatte all’imperatore e per lui sarebbe stata la fine. Pensò che era meglio sopprimerli che vivere con l’incubo. A Mira sarebbe stato difficile ma alla frontiera senza Nicolò, Ablavio poteva liquidarli benissimo.

Scrive una lettera ad Ablavio accusando i tre tribuni di intesa con i Frigi contro l’imperatore.

L’accusa venne portata all’imperatore presente alla frontiera ed il solo competente a giudicare i tribuni. Costantino irritato e sospettoso dell’insurrezione dei Frigi condanna a morte i tribuni che invano tentano di dimostrare la loro innocenza. La sentenza stava per essere eseguita. Nicolò a Mira conobbe tale iniquità e subito nella notte apparve in visione a Costantino minacciandolo di terribili castighi se avesse giustiziato i tre innocenti tribuni. Comparve pure ad Ablavio imponendogli di intercedere presso l’imperatore a favore dei calunniati Negoziano, Orso ed Erpilone.

Ablavio incredulo, al mattino ne parla con Costantino il quale rimane meravigliato per la medesima visione, riesamina l’accusa, discolpa i tribuni e accerta l’iniquità di Eustachio che viene condannato a morte.

 

NELLA  PACE  DI  CRISTO

Le lunghe fatiche, le penitenze continue, le sofferenze patite nella prigionia avevano fiaccato la fibra di Nicolò. A 65 anni era smagrito e senza forze e si sentiva vicino alla fine. Tutti gli stavano più vicino vedendolo affaticato e stanco e ormai pensavano che presto avrebbero dovuto fare a meno del Santo. Nonostante le pessime condizioni di salute volle ancora una volta visitare la sua Diocesi per rallegrare i fedeli con la sua presenza.

Quando compì quest’altro ufficio ritornò a Mira  febbricitante e fu costretto a mettersi a letto. Chiese che gli venissero amministrati gli ultimi Sacramenti.

La notizia del suo aggravamento si sparse in città e tutti cristiani e pagani volevano vederlo per l’ultima volta. Tutti sfilando davanti al suo letto ebbero una parola, un ricordo, un sorriso e tutti furono benedetti. Una donna malata di epilessia chiese di essere liberata dalla malattia e Nicolò alzò la mano e la benedisse e fu guarita.

Sentendo la fine imminente volle che i suoi Sacerdoti salmodiassero attorno al suo letto, narra la tradizione che al coro parteciparono anche gli Angeli del Cielo. Nicolò si assopì e per lasciarlo riposare la salmodia fu sospesa. Poi aprì gli occhi guardò il cielo e vide gli Angeli venirgli incontro e, lieto in volto, intonò il salmo 30°, quando giunse al versetto che diceva raccomando nelle tue mani Signore l’anima mia, morì. Era il 6 dicembre dell’anno 345.

La ferale notizia si sparse in un baleno gettando nella costernazione tutti sfilarono davanti la salma.

La sua tomba  non fu considerata un sepolcro ma una fonte di grazie e prodigi e fu necessario  la sua custodia che fu affidata ai monaci del monastero di Sion. Tantissimi di tutte le città e in tutte le ore del giorno si avvicinavano alla sua tomba per essere aiutati e nessuno tornava deluso. Numerosissimi furono i miracoli e la sua fama varcò tutti i confini, e altra gente venne sulla sua tomba anche i mercanti e la gente di mare sentendo narrare le cose mirabili che si verificavano presso la sua tomba e ne tornavano conquistati.

Questa ammirazione per il santo Arcivescovo di Mira si andò sempre più allargando.

 

ADEODATO

Nel 1087 gli arabi occuparono e devastarono Mira e gli abitanti fuggirono sui vicini monti. La tomba di Nicolò rimase deserta con solo quattro monaci accampati per custodirne le sacre spoglie. I marinai ed i mercanti che giungevano in Oriente facevano a gara per portare in Italia le reliquie dei martiri cristiani, San Matteo a Salerno, San Bartolomeo a Roma, San Marco a Venezia, e così via. Una nave barese approdò nella Licia per portare grano e l’equipaggio pensò di rubare le spoglie di Nicolò. Dopo aver sbarcato il carico molti marinai guidati  da due Sacerdoti Lupo e Grimoaldo andarono sulla tomba come pellegrini e tentarono di corrompere i monaci, ma non ci riescirono e allora immobilizzarono i frati con le maniere forti, raccolsero una ad una le ossa del Santo, e le misero in una cassetta metallica e scapparono con la nave. Quando gli abitanti di Mira si accorsero del fatto ormai la nave era lontana. Il 9 maggio le navi rientrarono a Bari e scaricarono le ossa del Santo tra l’acclamazione dei Baresi. Le reliquie vennero provvisoriamente deposte nella Chiesa di S. Eustrazio, subito l’Arcivescovo Arsone pensò di costruire un’altra chiesa per tumulare le sante reliquie ove oggi sono deposte.

 

LA  MANNA   

Un fenomeno singolare si verificò nei resti mortali del Santo.

Dalle ossa del Santo fuoriusciva un liquore chiamato Mirra.

Del prodigioso fenomeno se ne sono accorti i monaci custodi della tomba che la raccoglievano in piccole fialette e la donavano ai visitatori della tomba e questi la appendevano al collo.

Dal 343 al 1087 il corpo di San Nicolò riposò a Mirra, la Manna continuò a uscire dalle ossa miracolosi del Santo. Solo nell’anno 387 cessò di fuoriuscire quando il successore fu cacciato dalla sua chiesa e riprese solo quando rientrò nella sua carica

Cessò ancora nel 1086 per un anno intero, quando i turchi occuparono la Licia e gli abitanti di Mira scapparono sulle montagne senza ubbidire alla volontà che Nicolò aveva fatto dire ai suoi Sacerdoti di tornare al tempio. Nel 1087 quando i marinai  baresi  trafugarono le ossa, Matteo Sparro o Sparatelo che ruppe la lapide di marmo e scivolò nella tomba, per raccogliere le sante ossa si dovette togliere le scarpe perché era piena della  liquorosa Manna  che sprigionava un soave profumo. Da allora le sante ossa hanno distillato ogni anno tra sette e otto litri di Manna.  

 

IL  CULTO  DI  S. NICOLO’

        Impressionante e rapido si diffuse il culto di S. Nicolò nel popolo cristiano. I pellegrini propagandarono il suo culto ai popoli Nord – Orientali. Essi rimasero impressionati dalla Manna, che fuoriusciva dalle sue ossa e lo chiamarono S. Nicolò Myracolitis. Lo stesso in Russia, popoli slavi e tedeschi . S. Nicolò è un  Santo veramente popolare. In Russia è molto venerato. Per i popoli del Nord e SANTA CLAUS il BABBO NATALE odierno. Nella Archidiocesi di Messina ben 22 parrocchie hanno S. Nicolò per titolare. Quella di Roccavaldina nacque sotto Federico II di Aragona intorno al 1300.